Al n. 57 abbiamo pubblicato una lettera del 1858 gentilmente inviataci da Veronica B.. Un antenato rossese, dall’estero, scriveva “a casa”.
Ne proponiamo un’altra del 1863. Senza nessun commento. La migrazione è sempre stata una piaga. Ogni lettore potrà (se lo vorrà) dedicare un attimo di riflessione. Magari pensando che, se non è l’erede diretto di qualcuno che a quei tempi ha provato quelle sofferenze, lo è suo zio o il suo vicino di casa.
Buona lettura.
Dalla Francia, nelle vicinanze del Natale 1863.
“Cara Madre,
… quello che mi fa molta pena è di non potervi riabbracciare. Io credevo di partire questa settimana, la sera della domenica passata mio Padre mi ha detto che il signore dove lavora non vuole che se ne vada per un mese almeno, perciò dopo non vale più la pena per questo inverno. Ma, cara Madre, io spero di vedervi per la fine dell’anno prossimo. Se io avessi saputo di una cosa così, vi avrei scritto molto tempo fa, ma io credevo sempre di partire e non vi ho mai scritto. Se avessi saputo di un affare così non vi avrei scritto di farmi il letto. Adesso vi dirò che la mia gamba sta bene: è guarita bene e non mi fa più male a lavorare. Vi prego di non essere in pena per me. Vi prego di stare allegra, di non farvi cattivo sangue. Come ho fatto io la prima notte che me l’ha detto non ho mai potuto dormire come anche mio padre piangeva quando gli hanno detto che non poteva partire altrimenti gli facevano perdere più di 150 franchi. Sono per la vita vostro figlio “.
Una festa al Rainero agli inizi del secolo scorso. Secondo Ede, in tarda primavera, inizi 1900. Notare la neve sui versanti di fronte.